Eravamo nati catalani, siamo caduti toscani
La nascita e la caduta dell’impero di Andrea Agnelli, in cui tutte le strade portavano a Brescia.
<<Eravamo nati catalani>> capeggia nella mia testa da 11 anni, ben incastonato nell’ippotalamo. Così si apriva un articolo - se così si può chiamare - su uno di quei blog che popolavano il web, di certo non mainstream, quando ancora il J-Twitter e Twitch non esistevano. Forse si trattava di ju29ro, ma non ne sono sicuro. Ora i toni di noi tifosi sono ben diversi, come testimoniano le live di LB che ascolto nelle ore di macchina che mi spettano per doveri lavorativi.
<<Eravamo nati catalani>> . L’autore celebrava, a 1 anno dalla nascita della gestione di Antonio Conte il pugliese sulla panchina della Juve, una squadra tornata affamata, competitiva e, dopo anni di buio e di settimi posti, finalmente vincente sul Milan dell’allenatore toscano Massimiliano Allegri, ma ne evidenziava anche una prima evoluzione “di giuoco” non particolarmente apprezzata.
Il tecnico pugliese, etichettato al suo arrivo come talebano del 4-2-4, modulo ingestibile con cui la Juve avrebbe fatto un buco nell’acqua, aveva ammaliato il pubblico del neonato Stadium, perennemente in versione bolgia e i cui biglietti erano spesso introvabili, con una prima parte di stagione all’insegna del 4-3-3 in pieno stile Catalano, come il Barcellona che in quegli anni dominava la Spagna e l’Europa intera. Se in Spagna Pep Guardiola era il matador che con l’eleganza e raffinatezza di Xavi e Iniesta allietava gli spettatori nella sua arena, in Italia l’imperatore torinese Andrea Agnelli si godeva l’acclamazione della sue “gente della Juve”, felice di vedere l’eroico gladiatore Conte annientare gli avversari, trafitti da Pirlo e dagli inserimenti di Vidal, Marchisio, Pepe, Lichtsteiner (ah, quanta bellezza negli occhi per quei primi gol allo stadium).
Ma bando alle ciance, qui c’era da vincere, che è sempre l’unica cosa che conta, e un altro allenatore toscano - corsi e ricorsi geografici - stava cominciando a mettere in difficoltà gli avversari con un altro modulo: era il 3-5-2 di Walter Mazzarri e di quel Napoli che sarebbe diventato successivamente il primo competitor della Juve. Così Antonio Conte il pugliese abbandonava la strada del 4-3-3, offensivo e leggiadro ma poco incisivo, forse soprattutto per via dei suoi interpreti, per passare al 3-5-2 molto più organizzato e coperto, che ci regalò sì tanti trofei nazionali, ma anche delusioni in campo internazionale laddove il bresciano acquisito Guardiola stava rivoluzionando il calcio. E pensare che proprio in questi giorni la Juve si è fatta sfuggire un altro allenatore bresciano questa volta di nascita - De Zerbi - che ci avrebbe fatto molto comodo ma appena scappato in terra inglese. Corsi e ricorsi geografici.
Quindi in questo modo eravamo nati, tra Torino, Puglia, Toscana e Catalogna. E poi come andò lo sappiamo: il divorzio choc tra il gladiatore Conte e l’imperatore Agnelli, con le accuse infamanti in ambito ristorativo. Agnelli, tradito e vulnerabile davanti al suo popolo, decise allora di affidarsi al generale toscano Allegri, passato tra le fila amiche come succedeva ai soldati dei popoli sconfitti e inglobati da Roma all’interno del suo stesso Impero. Funzionava così nell’impero: si vinceva, si cresceva, si inglobava il nemico. Chi entrava non subiva l’ideologia che c’era prima ma, almeno in parte, la integrava con la propria. Questa era la chiave della longevità di Roma; peccato che allontanandosi gradualmente dal nocciolo culturale originario di Roma fu anche il motivo che portò alla fine di tutto.
Alessandro Barbero, se stai leggendo, perdonami.
La stessa cosa accadde all’impero juventino. Allegri il toscano fu inizialmente bravo a non rigettare, appunto, il gran lavoro fatto dal predecessore ma semplicemente snellirlo con alcuni accorgimenti e, arrivando proprio là dove Conte non pensava si potesse arrivare, toccò il tasto dolente nel cuore e nell’immagine del presidente sabaudo, salvò Agnelli è da lui ottenne la gratitudine eterna.
L’allontanarsi graduale dalla strada catalana però subì la sterzata decisiva. Caressa oggi (finalmente) parla di Guerra Santa intrapresa da Allegri, ma se si tratta di incaponirsi esageratamente, i toscani son maestri (suvvia si scherza, come piace a voi!) ed io parlerei - corsi e ricorsi storici - della faida tra guelfi e ghibellini. Ecco Allegri il toscano più toscano di così non poteva essere. (Che poi l’ironia della sorte vuole che a scatenare questa degenerazione sia stato un altro Bresciano: Adani. Corsi e ricorsi geografici…).
Dallo spettacolo di gladiatori usato come mezzo di propaganda dall’imperatore Agnelli per sfamare il suo popolo affamato ed ottenerne il consenso, si è finiti allo scheletrico <<se volete lo spettacolo andate al circo>>. A questo punto meglio non pensare che si è venduto proprio alla Roma pure Dybala, unico in grado di regalare luce ed intrattenimento tecnico al pubblico. La storia si è accanita con ironia ponendo come ultimi personaggi in questa linea temporal-geografica Sarri, un altro toscano con passato napoletano (come Mazzarri, causa del primo cambiamento) e storico vincitore dell’ultimo scudetto e Pirlo, l’ennesimo bresciano di questa storia, generale novello e inesperto che portó al suo imperatore le ultime vittorie.
La Juve in una decade è divenuta l’opposto di come era stata partorita da Conte il pugliese che, una volta passato alla squadra che rappresenta l’opposto di sempre della Juventus, ha messo fine alla striscia di scudetti consecutivi che rimarrà nella storia (e nella geografia).
Mentre butto giù queste righe che nessuno leggerà, si palesa ai miei occhi un’altra coincidenza storica: l’Udinese è terza in classifica in serie A, stessa posizione in cui finì il campionato proprio in quel primo anno di Conte. Addento il mio panino in pausa pranzo fuori da un bar, a fianco a due alticci signori bianconeri che stanno criticando Allegri. La sconfitta di Monza segna la fine di tutto. Non sto indossando un abito grigio ma camicia azzurra, pantalone blu e sneakers ai piedi. Insomma, spiace mister, ma tutto cambia.
<<E quindi uscimmo a riveder le stelle>>
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